« Luogo è in inferno detto Malebolge »: segnali testuali del viaggio in Inferno
1La Commedia di Dante, terminata entro il 1321, è un’opera di particolare complessità e di ambizioni non comuni, si può ben dire smisurate. Ma non le si fa un torto se per descriverla in estrema sintesi a chi non la conosca la si qualifica come “il racconto di un viaggio”. Anzi, è forse questa la definizione più esatta della sua natura e del suo impianto narrativo di fondo: non solo perché tale effettivamente è, ma perché l’organizzazione del testo e i principali elementi di strutturazione, coesione e continuità interni fanno riferimento proprio alla natura itineraria della vicenda narrata. Non è perciò per semplice curiosità aneddotica se per secoli i lettori hanno prestato particolare attenzione alle molte questioni legate all’aspetto itinerale e odeporico, e se valorosi interpreti — dal matematico Antonio Manetti (1423-1497)1 ad accademici eruditi come Pierfrancesco Giambullari (1495-1555)2, dal commentatore professionista Alessandro Vellutello (nato nel 1473)3 al teorico del costituzionalismo Donato Giannotti (1492-1573)4, fino a personalità di spicco assoluto come Galileo Galilei (ancora per un’occasione accademica della giovinezza)5 — si sono dedicati in particolare allo studio delle dimensioni e della configurazione dei mondi descritti da Dante.
2Il tentativo di calcolare distanze e misure, specialmente dell’Inferno, nonché tempi di percorrenza, testimonia della necessità di ordinare e verificare le indicazioni che l’autore fornisce sparsamente in modo discontinuo, spesso allusivo e oscuro, e mostra gli interpreti intenti a confermare l’altezza del creatore attraverso il riconoscimento di una solida consistenza degli spazi da lui immaginati. Meno ingenuo di quanto noi non si pensi, questo accesso alla Commedia continuò fino alla fine dell’Ottocento, quando raggiunse forma compiuta in due contributi oggi per lo più trascurati ma di grande utilità e significato storico, la Topo-cronografia del viaggio dantesco di Giovanni Agnelli (Milano, Hoepli, 1891), e il Commento grafico alla Divina Commedia per uso delle scuole di Manfredi Porena (Palermo, Sandron, 1902). Il titolo del primo ci dice come insieme allo spazio anche il tempo fosse preso in attenta considerazione: pochi anni prima, nel 1887, la cronologia del viaggio e la determinazione della data in cui Dante fa che esso si svolga erano stati trattati esemplarmente, e in modo che oggi consideriamo definitivo, nell’operetta che il pastore anglicano Edward Moore (1835-1916), fra i massimi dantisti di sempre, dedicò agli Accenni al tempo nella Divina commedia, di lì a non molto (1900) tradotta in Italia (e ora in ristampa anastatica del 2007, con una nota di Bruno Basile)6. È molto significativo che la congiunzione tra dantismo anglosassone e italiano sulle questioni di tempo e spazio, possibile in quella fase storica e critica, anche se con approcci diversi, nel giro di pochi anni diventasse in Italia più che mai problematica in conseguenza della pervasiva influenza esercitata da Benedetto Croce sulle modalità di lettura e fruizione del testo. L’interesse per il percorso seguito da Dante, per durata e modalità del viaggio nei tre mondi dell’al di là, infatti, più che indicare l’ingenuità dei lettori antichi, testimonia il fatto che fino ad allora era normale la lettura dell’opera completa, da cima a fondo, fruizione che rendeva più urgente disporre di un quadro spazio-temporale saldo e che poneva una serie di problemi. Peraltro, mentre la lettura prevista da Dante perché l’opera possa sprigionare i suoi molti significati è senza alcun dubbio quella per intero, Croce, da parte sua grande lettore, indusse invece a una delibazione frammentaria del testo, con esaltazione e isolamento di grandi figure e episodi7. Ancora oggi, specialmente ma non solo in Italia, e in particolare in ambito accademico, prevalgono altre modalità rispetto alla lettura e allo studio dell’opera nel suo complesso, su tutte la Lectura Dantis, ovvero l’illustrazione e l’interpretazione di singoli canti affidate a studiosi diversi. Un esercizio sempre utile e interessante per chi lo fa in prima persona, meno, o non sempre, per il pubblico che ne gode, e comunque sia un modo di analizzare il poema che, anche quando non ne dimentica l’interezza, non può che eluderne le modalità complessive di funzionamento.
3Più in generale, infatti, la lettura crociana esalta quanto l’opera offre di unico e “irripetibile” (in un poema effettivamente disseminato di incontri commoventi e vertiginosi per forza intellettuale e drammatica) e deprime tutto quanto è ripetizione, funzionamento ordinario della narrazione, abitudine, composizione dei vari elementi che danno forma alla struttura del testo e alla narrazione del viaggio in quanto tale.
4È così che, nonostante la disponibilità di studi estremamente raffinati, mancano ancora presentazioni soddisfacenti delle modalità della narrazione dantesca, che mostrino in sintesi quali elementi Dante ha utilizzato per costruire la continuità del libro nelle sue varie zone. È come se per raggiungere le sommità della Commedia si seguissero percorsi che non prevedono l’attraversamento di valli e la risalita dei contrafforti.
5Le varie rappresentazioni grafico-mimetiche di Inferno, Purgatorio e Paradiso di accompagnamento alle edizioni del poema, a mia conoscenza, hanno poi tutte un difetto: oltre a offrire rappresentazioni con figure, variamente caratterizzate e di per sé fuorvianti, non mostrano mai in modo chiaro il rapporto tra struttura del mondo descritto e spazio testuale occupato.
6Guardiamo ad esempio la prima cantica, l’Inferno. Dopo i primi due canti, diversamente introduttivi, il canto III affronta la prima categoria particolare degli Ignavi, relegati al margine esterno dell’Inferno. Dopo il passaggio dell’Acheronte inizia l’illustrazione sistematica e progressiva dei cerchi di punizione, che dopo la zona speciale del Limbo (canto IV) dove soggiornano i grandi spiriti non cristiani, fra cui lo stesso Virgilio, inizialmente prevede una corrispondenza grossomodo regolare 1 canto = 1 cerchio, e allinea i peccati capitali, in un ordine dal meno grave al più grave che ricomparirà rovesciato nella disposizione delle cornici del Purgatorio.
7Superata anche la palude Stigia, i due poeti pellegrini entrano nella città di Dite, vincendo la resistenza dei diavoli che la presidiano grazie all’intervento di un messo divino. Ancora grossomodo un canto, il X, è occupato dal cerchio 6 in cui stanno gli eretici (con anticipo al canto IX). Una forte cesura, a circa un terzo della cantica, è costituita dal canto XI: una pausa del viaggio consente a Virgilio di esporre la disposizione dei peccatori in Inferno e i principi (in larga parte classico-ciceroniani) su cui si fonda la loro distribuzione8. Da lì in poi le proporzioni cambiano, e va ampliandosi progressivamente lo spazio testuale dedicato ai singoli cerchi, ora suddivisi in gironi che ospitano peccatori con colpe distinte. Il cerchio 7 dei violenti, distinto in tre gironi il terzo dei quali è a sua volta suddiviso in tre sottogironi, occupa infatti i sei canti che vanno dal XII al XVII, con ancora una distribuzione molto regolare nonostante l’espansione finale: un canto a girone per i primi due, mentre l’ultimo ne occupa quattro da solo con le sue tre sottosezioni, la seconda delle quali, quella dei sodomiti, occupa due canti. L’espansione è ancora maggiore nel caso del cerchio 8, il nostro Malebolge, che si distende dal XVIII al XXX, ben tredici canti per dieci gironi.
8In generale si nota la disproporzione, forse ragionata, per cui nella prima metà della cantica (I-XVII) sono attraversati e illustrati sette cerchi, e nella seconda metà (XVIII-XXXIV) tre soltanto. Come si vede si tratta di un movimento di espansione progressiva, che può indicare o un cambiamento radicale rispetto al progetto iniziale dell’opera9 o un calcolato disegno complessivo di cui ancora si devono riconoscere le ragioni più profonde. Un movimento espansivo, anche se meno evidente, è stato peraltro riconosciuto (da Ted Cachey)10 all’interno delle stesse Malebolge, tale per cui le prime cinque bolge (o gironi) occupano cinque canti:
9mentre le seconde cinque ne occupano otto:
10Ted Cachey ha segnalato anche il rapporto armonico 5-8-13, con riscontro nella matematica del tempo di Dante, e si aggiunga che nel disegno in 34 canti della prima cantica il canto XVIII apre la seconda metà, cui si conviene perciò un’autonomia e una riconoscibilità strutturale marcate.
11Il mio discorso vira però ora rispetto a queste considerazioni generali ed entra più da vicino nel funzionamento del testo e in quello del viaggio su questo tratto del percorso infernale. Se è vero che Dante immagina, o meglio classicamente “inventa”, il proprio testo prestando grande cura al rapporto tra topografia testuale e topografia dei luoghi, nella realizzazione puntuale è poi molto attento a fornire una segnaletica che consenta al lettore di orientarsi e di sapere dove via via giunge e si trova seguendo il racconto. Tutti aspetti fondamentali del funzionamento del testo, elusi però da presentazioni e introduzioni alla Commedia appunto perché relativi alla narrazione e perché elementi “ripetuti”, strutturali, in quanto tali crocianamente trascurabili. Di fatto questa segnaletica è non solo la responsabile prima della configurazione dei luoghi attraversati, ma rappresenta il riferimento indispensabile per ogni lettore che non voglia perdersi, e lungi dal poter essere considerata di mero servizio determina l’efficacia narrativa e drammatica del testo. La sua disposizione all’interno dell’opera è peraltro molto varia, in sintonia con l’avversione di Dante per soluzioni che rendano la sua costruzione meccanica e banale (come spesso avviene nella normale tradizione allegorica). Nei primi cerchi di Inferno, che non hanno sottodivisioni, le indicazioni sono fornite regolarmente e sono piuttosto semplici; mentre il basso Inferno, dal cerchio 7 in poi, rende necessaria la preliminare presentazione nel canto XI, in cui Virgilio illustra, in modo peraltro non completo, le sottodivisioni degli ultimi tre cerchi in cui i due poeti stanno per entrare (i cerchi 1-6 ai canti I-XI; 7-10 ai canti XII-XXXIV). L’anticipo nel canto XI non basta però a spiegare la discontinuità delle indicazioni fornite nel corso di Malebolge, ed è un fatto che all’interno del cerchio 8 il lettore, a un punto che fisserei all’altezza della bolgia 5 dei barattieri, fatica a orientarsi. Cachey pensa che Dante, fin dal canto XI, abbia di fatto invitato i lettori a prestare attenzione alla disposizione dei luoghi in rapporto al testo, e la considerazione, indubbiamente valida in generale, ci indica una fondamentale modalità di fruizione del poema quasi sempre trascurata dalla tradizione italiana. Ma è pur vero, come si riscontra osservando la struttura generale del Purgatorio11, che altrove Dante, pur nella continua variazione, è molto regolare, mentre qui, quanto meno a prima vista, improvvisamente lo è molto meno (varie spiegazioni sono offerte da Cachey).
12Come si ricava dallo Schema 2, in Malebolge tale segnaletica viene fornita in modo sufficientemente chiaro e diretto per le prime tre bolge, nel dettaglio:
13Meno per la quarta, non indicata in forma diretta ma con riferimento al numero degli argini e all’arco che li collega.
14Le prime quattro bolge, d’altra parte, sono facilmente riconoscibili anche perché sono esattamente contenute nei canti: due bolge, eccezionalmente, nel canto XVIII, e una ciascuna nel XIX e nel XX. Così come avveniva nei primi cerchi d’Inferno, al cambio di unità testuale corrisponde qui una nuova unità narrativa.
15Decisamente poco perspicue sono le indicazioni relative alla quinta bolgia, individuata come avvallamento successivo al precedente, e sempre con un riferimento all’argine (qui ripa) successivo.
16Solo retrospettivamente, a partire dal girone degli Ipocriti, la bolgia dei barattieri sarà indicata come fossa quinta: ma siamo ormai al canto 23.56.
17Nel sesto girone si entra di nuovo con l’elusiva indicazione
23.32 e 45 altra bolgia
18dove altra sta semplicemente per successiva, tenendo conto che la precedente (quinta) ancora non era stata numerata, e lo sarebbe stata soltanto di lì a poco, a 23.56, proprio all’interno della sesta. È questo probabilmente il momento di massima incertezza, anche perché fino all’inizio del canto XXVIII, che illustra la nona bolgia, verrà meno la rassicurante coincidenza ‘nuovo canto – nuova bolgia’, e lo spazio testuale dedicato alle singole bolge si amplierà diventando variabile e preliminarmente non prevedibile. Proprio in coincidenza con il disorientante inganno dei diavoli, che mentono sulla effettiva condizione dei ponti, il lettore si trova disorientato come lo sono i due poeti.
19Insomma, Dante mescola volutamente le indicazioni alternando continuamente i riferimenti (all’argine successivo alla nuova bolgia a cui arrivano, o all’arco che passa sulla bolgia stessa, o alla bolgia precedente: si veda ancora lo Schema 2), e dalla zona mediana di Malebolge vuole farci cogliere uno spaesamento: proprio a) in coincidenza con l’incontro con la schiera dei diavoli che dà luogo alle situazioni più “comiche” del poema; nel momento b) in cui si arriva a metà del percorso nel cerchio 8° (bolgia 5 e 6 di 10); e laddove c1) i ponti sono rotti a causa del terremoto verificatosi in coincidenza con la morte di Cristo; informazione, questa, c2) fornita indirettamente da uno dei diavoli in un passo capitale dell’opera (21.112-114), che non solo precisa l’orario di quel momento in successione a, e combinazione con, quello fornito alla fine di 20, ma consente di datare in assoluto il momento in cui Dante immagina che si svolga il proprio viaggio.
20La voluta vaghezza dei riferimenti topografici, che continua in parte anche per la bolgia settima, è accresciuta perciò in una zona del testo che è decisiva per l’orientamento generale del lettore nell’Inferno e nell’opera, una zona nella quale anche, come si sa, Dante rilascia capitali dichiarazioni e definizioni metapoetiche e metatestuali: uno dei due luoghi in cui qualifica comedia la propria opera (21.2; come già a 16.128), in contrapposizione, nel giro di pochi versi, alla tragedia dell’Eneide (20.113); e dove (all’inizio del canto XX) la cantica è definita “canzon” composta di canti, quasi questi ne fossero le stanze.12
21Si può anche credere che il disorientamento spaziale sia voluto, proprio a contrasto con indicazioni cronologiche di portata assoluta, ma in effetti sarebbe strano che Dante lasciasse il lettore così a mal partito. Al di là di quanto poteva aver implicitamente suggerito con il canto XI, che comunque non aiutava granché in Malebolge, Dante aveva effettivamente indicato a cosa badare proprio all’ingresso del cerchio 8°. Il solenne inizio del canto XVIII, vero e proprio prologo al mezzo che apre la seconda metà della cantica, fornisce una descrizione preliminare della configurazione del cerchio (in corsivo i termini che compaiono riutilizzati nel corso del cerchio ottavo, qui ripresi nello Schema 3):
Luogo è in inferno detto Malebolge,
tutto di pietra di color ferrigno,
come la cerchia che dintorno il volge.
Nel dritto mezzo del campo maligno
vaneggia un pozzo assai largo e profondo,
di cui suo loco dicerò l’ordigno.
Quel cinghio che rimane adunque è tondo
tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura,
e ha distinto in dieci valli il fondo.
Quale, dove per guardia de le mura
più e più fossi cingon li castelli,
la parte dove son rende figura,
tale imagine quivi facean quelli;
e come a tai fortezze da’ lor sogli
a la ripa di fuor son ponticelli
così da imo de la roccia scogli
movien che ricidien li argini e ’ fossi
infino al pozzo che i tronca e raccogli.
22La presentazione corografica e la similitudine con il sistema difensivo di una fortezza tramite fossati concentrici sollecita varie considerazioni, ma importa ora notare come vengano qui impiegati, oltre ai termini che descrivono l’insieme del luogo (cerchia, pozzo, ripa, cinghio), altri che poi saranno utilizzati per descrivere l’attraversamento delle bolge (ripa, ponticello, scoglio, argine, e nel corso di questo stesso canto ponte, archi) o per riferirsi alle bolge stesse (valle, fosso, e poi bolgia, fossa, fessura, zavorra).
23È ai passaggi di bolgia che si capisce dunque il senso profondo del dispiego terminologico iniziale13, che via via nel corso del testo si arricchisce di altri lemmi, e che possiamo così riassumere in schema (in corsivo i termini che compaiono nell’esordio appena visto).
24All’avvio del canto XVIII Dante non solo ci dice come è fatto il campo maligno di Malebolge descrivendolo efficacemente, ma associa alla topografia del luogo un lessico speciale e ci avvisa su come ci si potrà orientare durante l’attraversamento: anche quando non indicherà direttamente il numero della bolgia, si dovrà cioè badare ai passaggi da una bolgia all’altra, descritti con termini ricorrenti, senza farsi confondere dalla ripetizione e insieme dal variare dei riferimenti, che sono a volte alla bolgia, spesso all’argine/ripa (facilmente quello successivo alla bolgia illustrata in quel momento), più spesso allo scoglio/ponte/scheggio/arco che le attraversa. Che questa potesse essere la consapevole intenzione di Dante sembra confermato proprio dall’avvio del canto che introduce alla zona in cui la segnaletica diretta, come si è visto, viene meno, e dopo il quale, si è pure detto, si interrompe la coincidenza ‘cambio di canto – cambio di bolgia’. Quando all’inizio del canto XXI leggiamo
Così di ponte in ponte, altro parlando
che la mia comedìa cantar non cura,
venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando
restammo per veder l’altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;
e vidila mirabilmente oscura.
25la nostra attenzione è richiamata sul passaggio dei ponti (in questo caso dal ponte 4°, citato perifrasticamente alla fine del canto XIX, al 5°), il transito che costituisce il vero elemento di continuità all’interno del racconto (non divago sull’importanza e il ruolo dei ponti nella vita e nell’economia, e di conseguenza sul piano simbolico, non solo ma anche del Medioevo), transito che, seguito con attenzione dal lettore, permette di sapere sempre dove ci si trova. Come si desume dagli schemi 2 e 3, i riferimenti ai tre elementi fondamentali (bolgia, ponte, ripa/argine) sono variamente presenti, ma ciò che non viene mai meno è la registrazione del passaggio del ponte, o arco o scoglio (il termine più utilizzato, probabilmente perché in sintonia con la naturalità per così dire estrusiva delle strutture a suo tempo create da Dio), ovvero i ponticelli citati all’inizio del canto XVIII. Lo Schema 3 permette di cogliere immediatamente come nessuna bolgia cumuli un ventaglio di riferimenti agli elementi del paesaggio paragonabile a quello dispiegato nella quinta bolgia.
26Un elemento del paesaggio, di quel particolare paesaggio seminaturale artificiato direttamente da Dio, diventa così la guida del lettore non solo nello spazio dell’Inferno, ma anche in quello del testo della Commedia, mostrando esemplarmente come Dante abbia progettato i due piani in stretta connessione, e quanto sia perciò necessario seguirne sempre con attenzione l’intersecazione. Distinguere la componente propriamente linguistica (in questo caso si è additato il lessico, senza approfondirne l’analisi) su cui il testo si regge e in cui consiste, da quella diegetica e immaginativa (nel suo caso una capacità inventiva senza riscontro nella tradizione occidentale) può apparire forzato o ingenuo, ma le osservazioni precedenti sembrano suggerire la liceità della distinzione. La capacità inventiva riguarda infatti non soltanto le singole figure ma anche la strutturazione dei mondi descritti in rapporto al movimento del narratore e alle partizioni dell’opera. Pur nella semplificazione che ciò comporta, richiamo questo doppio aspetto perché una gran parte della tradizione critica italiana, che ha meriti rilevantissimi e annovera figure di grande spessore, ha a lungo trascurato questo secondo versante, enfatizzando soprattutto, forse anche in conseguenza dei prevalenti interessi filologici, quello strettamente linguistico e poi stilistico, in sintonia con la vocazione e l’ascendenza di molta nostra critica accademica e della nostra storia culturale. In ciò nulla di strano, se non fosse che, magari senza volerlo, schiacciando l’opera sulla sua componente linguistica e letteraria — così come isolandone singole figure ed episodi al di fuori della struttura e del significato complessivo — si è finito per fare il gioco di chi aveva interesse a devitalizzarne o comprimerne la stupefacente ricchezza e varietà, nonché quello che si potrebbe considerare il suo potenziale eversivo. Tutto sommato una buona soluzione per chi fin dal Trecento si è costituito come principale nemico di Dante, ovvero la Chiesa di Roma. Anche oggi — quando la critica dantesca in Italia mostra una notevole varietà e apertura — il diverso modo di leggere la Commedia che ha avuto e tuttora ha corso nel mondo anglosassone — più attento alle intenzioni dell’autore nella costruzione del racconto e del libro, e agli aspetti simbolici generali — si spiega forse alla luce dell’impianto prevalentemente protestante di quell’area, indipendentemente dal profilo religioso dei singoli studiosi.